E' chiaro che il pensiero dà fastidio...il pensiero come l'oceano non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare.
Così stanno bruciando il mare. Così stanno uccidendo il mare. Così stanno umiliando il mare. Così stanno piegando il mare.
- Com'è profondo il mare - Lucio Dalla

La cultura della risposta

Viviamo in un mondo affamato di risposte. E se quello di cui abbiamo più bisogno fossero le domande?

  • 21 Set 2013
  • Categoria: Articoli
  • Tempo di lettura: 4 minuti, 54 secondi

In italia, che ci piaccia oppure no, esiste una vera e propria cultura, per non dire dittatura, della risposta. Ha attraversato e infettato quasi tutti gli ambienti. Scuola, sindacati, politica, mezzi d’informazione fino ad arrivare alla piazza, al paese, al bar. Il perché questa cultura si sia venuta a creare non lo conosco. Quello che invece credo di conoscere, è come questa cultura si è instaurata, gli effetti che ha scaturito e come possiamo sconfiggerla.
Ma innanzitutto in cosa consiste questa cultura? La cultura della risposta è l’atteggiamento tenuto da una società che non ricosce più i propri limiti. Una società che smette di porsi delle domande e smette di affrontare ogni dubbio. L’italiano odierno è un tuttologo con il dito puntato contro tutti, tranne contro se stesso. 60 milioni di italiani e 60 milioni di allenatori di calcio. 60 milioni di sindaci. 60 milioni di esperti nucleari. 60 milioni di medici. 60 milioni di economisti.

Come si è diffusa questa cultura?
I canali principali attraverso i quali la cultura della risposta si è fatta spazio nelle nostre menti sono, principalmente, il sistema scolastico, il benessere e i mezzi d’informazione.

A scuola ci hanno imbottito di nozioni, soffocando il talento, la genialità e le passioni di un individuo in un voto. Siamo cresciuti tra due numeri: l’uno e il dieci. Siamo cresciuti nella speranza che il risultato di un’equazione coincidesse con quello della soluzione scritta nella penultima pagina del libro. La soluzione (la risposta) era il nostro unico obiettivo. Il voto la nostra unica ricompensa. Siamo stati addestrati come cani al cinodromo. Loro inseguono una lepre meccanica per correre più veloce, noi inseguiamo pezzi di carta e voti per scalare le gerarchie sociali. Il sistema scolastico italiano non premia il procedimento, la logica. Un po’ come nella barzelletta (non la racconterò tutta) in cui la maestra chiede agli studenti quanti uccelli rimangono su un ramo quando il cacciatore spara ad uno di essi. Tutti gli studenti, sapendo che gli uccelli sul ramo erano tre,  rispondono che ne rimarranno 2. Un solo studente invece, risponde che ne rimarranno 0 poiché allo sparo gli altri uccelli fuggiranno. Quale studente dovrebbe essere premiato? Poco importa, ci hanno insegnato che il risultato è 2 perché 3 – 1 = 2. Punto.

Poi c’è stato Il benessere che ha giocato il suo ruolo. Così rapidamente ottenuto da questo paese negli anni 60, ha portato con se alcune controindicazioni. La cultura e la conoscenza, divenute giustamente a portata di tutti, non sono state declinate adeguatamente. Manzoni scrisse: “meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell’errore”. In italia invece, l’agio economico conquistato con fatica, è divenuto anche agio intellettuale.

Fondamentale, e strettamente connesso al benessere, il ruolo dei mezzi di informazione (televisione, radio, giornali, e ultimamente internet, blog). Gestiti da attenti osservatori e da esperti sociologi, hanno anticipato i tempi, intercettando fin da subito la trasformazione in cui era coinvolta la nostra società. Stavamo diventando una società di consumo, una società dell’effimero. Una società votata alla risposta ovvia. Loro, i media, l’hanno capito con 30 anni di anticipo e fedeli al loro scopo, cioè il profitto, ci hanno dato a mangiare quello che stavamo per chiedere. Risposte. Banali, sciocche o addirittura false. Sempre e comunque risposte. Sono sorti come funghi i programmi d’inchiesta, i talk politici, i documentari pieni zeppi di dietrologia a buon mercato. La società pende dalle labbra di personaggi che hanno una risposta per tutto e non interessa a nessuno quanto siano veritieri certi argomenti. Il popolo pretende di avere una risposta a tutto, 11 settembre, allunaggio lunare, vaccino per la carie dentale, guerre mondiali e intrighi internazionali. Laddove non può sapere sceglie di credere in qualcosa e sceglie la prima risposta che gli capita a tiro; di solito la più eclatante. Oggigiorno la nostra società non sopporta l’idea di un problema irrisolto. Non sopportiamo le domande e ancor di meno i dubbi.

L’effetto appiattimento
L’uomo è un essere dinamico e il carburante del suo dinamismo è la curiosità, è la voglia di scoprire, è la necessità di andare oltre i propri limiti. Questo dinamismo non può prescindere dalle domande. Le risposte appagano, fanno riposare quell’inquietudine data dalla curiosità e da sole non bastano. La nostra società però, non ce la fa ad essere quello studente controcorrente (quello che sostiene che nessun uccello rimarrà sul ramo), preferiamo uniformarci al coro delle risposte politicamente corrette, e una società senza punti interrogativi e senza dubbi, è incapace di muovere un solo passo avanti. E’ piatta, amorfa.

Come sconfiggere la cultura della risposta?
L’antidoto alla risposta cos’altro potrebbe essere se non la domanda? Le domande sono il carburante del progresso. Per non cadere nello scontato e non cedere all’errore dobbiamo accettare di sottoporci alle domande e, a volte, ci dobbiamo rassegnare al dubbio. D’altronde le più grandi scoperte dell’uomo non sono il frutto di grandi domande? Cosa sarebbe il mondo senza la domanda delle domande, ovvero il perché?
Ognuno di noi, da piccolo, ha avuto la fase dei “perché”, quella fase in cui, ad ogni risposta che viene data al bambino,  questi ribatte ciclicamente con un “perché?”. Gli adulti nella loro presunzione non afferrano quasi mai la nobiltà intellettuale di quell’atteggiamento, e cercano di tagliare corto rifilando al piccolo le risposte più sciocche. In realtà quell’atteggiamento non è un lamento o un capriccio, bensì una straordinaria curiosità, una vitale voglia di approfondire il senso delle cose. Probabilmente, quella fase della nostra vita rappresenta la prima volta in cui, pur senza esserne consapevoli, abbiamo sconfitto il bar. La prima volta in cui ci siamo ribellati a delle risposte facili e banali, la prima volta in cui abbiamo rifiutato la mediocrità ed abbiamo scelto di andare a fondo, di scendere negli abissi del mare (come cantava Lucio Dalla).

Proprio a tal proposito, concludo questo articolo (un po’ lungo a dire il vero), con uno dei video più interessanti presenti su youtube. Il premio Nobel Richard Feynman spiega la ciclicità delle domande e le difficoltà che emergono con esse (qui la trascrizione).
Le domande sono scomode ma…”meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell’errore”.

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