E' chiaro che il pensiero dà fastidio...il pensiero come l'oceano non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare.
Così stanno bruciando il mare. Così stanno uccidendo il mare. Così stanno umiliando il mare. Così stanno piegando il mare.
- Com'è profondo il mare - Lucio Dalla

Don Milani e l’arma della parola contro i signori

Un uomo che ha lottato ed ha sconfitto la mentalità borghese del tempo, donando agli ultimi la ricchezza più grande: l'uso consapevole della parola.

  • 01 Apr 2014
  • Categoria: Articoli
  • Tempo di lettura: 5 minuti, 39 secondi

Nell’anno 2014
Passando di correlato in correlato su youtube, mi sono imbattuto nella fiction RAI “Don Milani, il priore di Barbiana“, sacerdote fiorentino interpretato da un magistrale Sergio Castellitto. Quando hai un po’ di tempo guardala, la figura di Lorenzo Milani merita davvero di essere studiata. Dopo la fiction ho voluto documentarmi ed ho acquistato uno tra i tanti libri in commercio (Don Milani la vita – scritto da Mario Lancisi, Piemme Bestseller 2013). Ne sono rimasto molto colpito e mi ha fatto riflettere. Voglio dunque condividere con te la storia di un uomo che con l’iniziativa e con la penna ha demolito il pensiero dominante e il pensiero superficiale del tempo. Ancora oggi, nel 2014, continua a farlo.

Le origini
Lorenzo Milani nacque nel 1923 da una famiglia fiorentina, colta, nobile e agnostica. Tra i suoi avi si contano diversi “mangiapreti”, difatti la sua volontà di farsi prete venne accolta dalla famiglia come una vera e propria tragedia. Crebbe nell’agio ma questo non ebbe mai la meglio sul carattere del piccolo Lorenzo che fin da piccolo lottava contro i soprusi e le ingiustizie. Ragazzo ribelle e mediocre studente, scelse di divenire artista. In un momento travagliato della sua vita si avvicinò alla religione e ne rimase folgorato. Centrale l’episodio in cui Lorenzo Milani si trova con don Bensi al capezzale di un prete morto. Don Bensi esclamò: “Chi prenderà il posto di questo sacerdote?”. “Lo prenderò io” disse Lorenzo.

Barbiana
Il seminario nel 43, ordinazione nel 47. Dopo un’esperienza turbolenta a San Donato a Calenzano, durante la quale dovette fronteggiare disoccupazione, ignoranza e povertà, venne trasferito, o meglio esiliato, su una montagna del Mugello: Barbiana (1954). Un paesino di 50 anime sperduto nel nulla. La storia racconta che il tentativo da parte della Chiesa di farlo tacere, fallì. Tuttavia l’inizio fu duro anche per un uomo determinato come don Milani. Scrisse a sua madre, preoccupata dall’apparente umiliazione subita dal figlio in seguito al trasferimento a Barbiana: “La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da ben altre cose”. Così di tutta risposta il giorno dopo l’arrivo a Barbiana, Don Milani andò in comune, a Vicchio, per prendere un posto al cimitero come segno di vicinanza alla gente del luogo, per dimostrare che non aveva paura di stare lì e di volerci rimanere anche dopo la morte, seppur nelle sole carni.

La scuola e l’arma della parola
Nonostante le buone intenzioni, don Milani si rende conto fin da subito che essere prete in un paesino di montagna sperduto non è difficile ma semplicemente inutile. Inutile a meno che prima non si compiano dei passi. Era solito dire: “da bestie (culturalmente parlando ndr) a uomini, da uomini a santi”. Per don Milani senza il possesso della lingua non c’è riscatto possibile e senza riscatto sociale non c’è vita cristiana. “La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo, ma sul grado di cultura e sulla funzione sociale”. Ed ancora, in una lettera scrive:

“Ho assistito in questi giorni un moribondo. Ad 84 anni dal suo battesimo non ha ancora acquistato quel minimo di linguaggio comune col suo prete da intendere i sacramenti che riceve e le parole sull’aldilà. Forestiero alla nostra fede e al nostro linguaggio. A tratti passava dei momenti di delirio e allora credeva ancora di essere a rimboccar pecore. “Ussa su, ussa giù, por***”, ecco la sua lingua. Il soliloquio con le pecore, l’unico uso che ha fatto del dono della parola in 84 anni di vita. Ha imparato la loro lingua e non la mia. E’ più fratello loro che mio ed io vesto lana e mangio cacio senza rimorso. Nessuno deve più fare quel mestiere, o almeno, nessuno che non sappia già pregare, pensare, leggere”.

Da queste considerazioni prende vita una delle scuole più innovative e dirompenti di sempre. La scuola di Barbiana. Innovativa perché vanterà ogni tipo di tecnologia (computer donato dalla olivetti, giradischi per apprendere le lingue straniere e lavoro all’estero). Dirompente per i testi che sfornerà, tra i quali “Lettera ad una professoressa” una dura critica al sistema scolastico definito “…un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati”.

La scuola di don Milani rifletteva il suo ideale sociale. L’uso della parola è un’arma:

“Quando il povero saprà dominare le parole…la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata”.

Tuttavia la missione di don Milani non deve essere letta come un atto di protesta proletaria fine alla riscossa sociale. Non c’è in don Milani un ideale di vendetta ma di eguaglianza.

“A noi non interessa tanto di colmare l’abisso di ignoranza, quanto l’abisso di differenza. Il fattore determinante è a nostro avviso la padronanza della lingua e del lessico. Non si tratta infatti di fare di ogni operaio un ingegnere e d’ogni ingegnere un operaio. Ma solo di far sì che l’essere ingegnere non implichi automaticamente anche l’essere più uomo”.

Simpatie comuniste
Il suo carattere scontroso, i rigidi schemi ideologici del tempo, la sua voce libera e la difesa degli ultimi, garantirono a don Milani un posto fisso nell’occhio del ciclone. Una delle accuse più pesanti era mossa proprio dalla Chiesa, la stessa Chiesa di cui don Milani si sentiva figlio. Veniva accusato di avere simpatie comuniste e ancora oggi una sinistra ridicola continua a reclamare la paternità del sacerdote. Niente di più falso. Era molto più profondo il pensiero del priore di Barbiana.
Nel 1950 don Milani scrive a Pipetta, un giovane attivista comunista di Calenzano, che era solito definire don Milani come un prete a posto:

“E’ un caso, sai, che tu mi trovi a lottare con te contro i signori. Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocefisso…Quando mi dici che sono un prete a posto non mi fai piacere ma getti sale sulla mia ferita”.

Conclusione
Morì giovane (1967) a causa di un tumore. Seppellito a Barbiana in quel loculo che aveva scelto già il giorno dopo il suo arrivo.
La sua scuola ospitò personaggi importanti, accolti ogni volta da bambini preparati e con la lingua appuntita, proprio come il loro maestro. Don Milani non invitava delle personalità per fargli fare passerella ma per insegnare ai suoi ragazzi a confrontarsi con chiunque. I suoi studenti continuano a dare testimonianza dei suoi insegnamenti. I suoi scritti continuano a riecheggiare.

Credo sia necessario riprendere in mano questi scritti. Non abbiamo più “una tirannia del farmacista da combattere” ma abbiamo altri tiranni, ed anche contro questi la parola e l’impegno possono aiutarci ad essere cittadini sovrani e non schiavi.

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